Tra le diverse emozioni di base o primarie (gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto e sorpresa), la paura è quella che è stata studiata maggiormente, poiché accomuna tutti gli esseri viventi ed è presente fin dalle più precoci fasi di vita.
Uno dei primissimi (e più famosi) studi che si sono occupati di comprendere il processo di percezione e, quindi, di risposta alla paura è il tristemente noto “caso del piccolo Albert”, condotto un secolo fa ad opera di Watson e Rayner.
Lo studioso e la sua allieva, sfruttando le conoscenze sul condizionamento classico1 in stile pavloviano, hanno generato in un bambino di soli 11 mesi, il piccolo Albert, delle risposte di paura condizionata alla presentazione di un ratto bianco (inizialmente neutro).
Grazie all’associazione ripetuta tra la vista del ratto ed un forte e sgradevole suono, prodotto colpendo con un martello una barra d’acciaio alle spalle del bambino quando provava ad avvicinarsi all’animale, ottennero una risposta di paura completamente “artificiale”.
Questo discusso e controverso esperimento, impensabile ed irripetibile ai giorni nostri, ha dimostrato che tale risposta può essere generalizzata a stimoli simili (nel caso del piccolo Albert: un batuffolo di cotone, una pelliccia di foca, un coniglio bianco e persino la barba dello stesso Watson) e che, ripetendo l’esperimento a distanza di mesi, perdura nel tempo, seppur con una minore intensità.
Studi più recenti e meno invasivi, si sono focalizzati su questi interessanti aspetti che modulano e sono alla base della risposta di paura, oltre che sul conoscerne e descriverne il pattern comportamentale che la caratterizza.
Per assistere all’introduzione dello studio delle emozioni nel campo delle neuroscienze, tuttavia, è stato necessario attendere il nuovo millennio, quando i processi emozionali si sono “meritati” un posto nella ricerca neuroscientifica ed hanno, via via, guadagnato sempre maggiore rilievo, dimostrando i loro effetti su diversi processi cognitivi, quali la percezione, l’attenzione , la memoria e l’apprendimento.
Anche in questo caso, la paura ha ricevuto un’attenzione particolare e ad oggi abbiamo una buona conoscenza delle basi neuro-anatomiche che la caratterizzano.
Correlati neuro-anatomici della paura
Un ruolo cruciale nella risposta di paura è svolto dall’amigdala, una piccola area situata bilateralmente in profondità nei lobi temporali, che in presenza di stimoli potenzialmente pericolosi contribuisce ad innescare risposte adattive.
Secondo il modello a due vie teorizzato dal neuroscienziato LeDoux, uno dei massimi esperti nello studio della neurofisiologia delle risposte emotive, quest’area sarebbe coinvolta in due “network emozionali” che lavorano in parallelo:
- la via diretta, più rapida, riceve input direttamente dal talamo sulle informazioni sensoriali essenziali provenienti dalle aree periferiche e si occupa di innescare una risposta immediata al potenziale pericolo. Inoltre, predispone l’amigdala ad un’analisi efficace delle informazioni più complesse che arriveranno successivamente;
- la via indiretta, più lenta, riceve gli input dalle cortecce cerebrali sensoriali e da altre aree corticali, che, a loro volta, hanno elaborato i segnali arrivati dal talamo. Tali informazioni sono più precise e sofisticate e permettono un’elaborazione cosciente dell’evento emotigeno ed un “aggiustamento” della risposta comportamentale prodotta, mediante proiezioni “a ritroso” (feedback).
Inoltre, anche in assenza di uno stimolo reale, l’amigdala è in grado di generare reazioni di paura anticipatoria e di ansia. Un’attivazione eccessiva di quest’area, infatti, è stata associata a disturbi della sfera affettiva, come attacchi di panico, disturbo da stress post-traumatico e fobie.
Un’altra area cerebrale ampiamente coinvolta nei processi di risposta alla paura è l’ippocampo, anch’esso situato bilateralmente nella parte interna dei lobi temporali ed appartenente, insieme all’amigdala, alla sezione sottocorticale del cosiddetto sistema limbico.
In particolare, l’ippocampo svolge un importante ruolo di confronto delle informazioni in entrata con quelle immagazzinate nelle memoria, permettendo così di attribuire un significato emotivo alle nuove informazioni sulla base delle esperienze precedenti e di selezionare il comportamento più adatto alla situazione.
Infine, altre aree cerebrali che intervengono nella produzione della risposta alla paura riguardano aspetti più specifici e circoscritti, come ad esempio i fenomeni della rivalutazione e dell’estinzione della paura attraverso i quali la risposta emotiva viene rimodulata.
L’estinzione della paura è comunemente presente in molte specie animali e si basa su processi automatici ed impliciti, attraverso i quali la risposta di paura tende a ridursi fino a sparire. Quando, infatti, l’evento avverso a cui si accompagnava uno stimolo condizionato non si manifesta per un certo numero di volte, si ha un nuovo apprendimento, che potremmo definire “per dissociazione” poiché va a ridefinire l’associazione precedentemente creata.
La rivalutazione della paura, invece, è un processo volontario ed esplicito, osservato quasi esclusivamente nell’uomo, che si basa sul modificare la valutazione iniziale di una situazione. Essa avviene attraverso due possibili procedimenti: la reinterpretazione, che consiste nel cambiare il significato attribuito ad uno stimolo emotivo, rivalutandolo in senso ottimistico; e l’allontanamento, che consiste nel “distanziarsi” dallo stimolo emotivo, considerandolo non realistico ed immaginario od osservandolo “con occhio esterno”.
In una recentissima meta-analisi, Picó-Pérez e colleghi hanno tentato di delineare e confrontare i correlati neurali di entrambi questi fenomeni, rianalizzando i risultati di oltre 90 studi di Risonanza Magnetica Funzuonale2.
Quello che è emerso è che questi due fenomeni determinano l’attivazione di diverse aree cerebrali comuni, ma presentano anche delle differenze. In particolare:
- la corteccia cingolata anteriore dorsale (CCAD) e la corteccia insulare anteriore bilaterale (CIA), associate a processi di regolazione attentiva ed emotiva e di selezione di pattern di risposta comportamentale, sono coinvolte in entrambi i fenomeni, senza sostanziali differenze;
- il giro post-centrale bilaterale, l’insula posteriore bilaterale, l’ippocampo destro, il globo pallido destro così come la corteccia visiva primaria (V1) ed il talamo postero-laterale sono risultati maggiormente attivi durante il fenomeno dell’estinzione della paura, sottolineando una coerente attivazione di aree coinvolte nell’elaborazione delle emozioni e delle risposte somatosensoriali, cruciali nelle fasi di associazione/dissociazione di stimoli differenti;
- mentre, le corteccie prefrontali ventro-laterale (CPFVL), dorso-laterale (CPFDL) e dorso-mediale (CPFDM), oltre all’area supplementare motoria (SMA) ed ai giri angolare, sovramarginale e precentrale sinistro sono risultati maggiormente attivi durante il fenomeno della rivalutazione della paura, evidenziando in questo caso un’importante attivazione di aree coinvolte nell’inibizione delle risposte automatiche, nella gestione dei conflitti e nell’automonitoraggio (un insieme di funzioni cognitive superiori tipiche di processi espliciti).
In conclusione, la percezione della paura è un processo variegato e complesso, che coinvolge molteplici aspetti e richiede un notevole investimento cognitivo, nonostante sia tra i più arcaici ed automatizzati.
Oltre ad essere fondamentale per la sopravvivenza, avere delle buone strategie di regolazione delle risposte alla paura è molto importante per preservare il proprio benessere psico-fisico, poiché, come abbiamo visto, dei deficit in queste capacità hanno un ruolo determinante nello sviluppo e nel mantenimento di gran parte dei disturbi psichici.
Per questo conoscerne il pattern di funzionamento ed i correlati neuro-anatomici sottostanti è davvero molto utile, sia a livello clinico che nella vita di tutti i giorni.
Per un approfondimento sul complesso pattern psicofisiologico di risposta alla paura, leggi anche: Come risponde il cervello al COVID-19?_Parte 2).
Ma ricordati sempre che i mostri non muoiono. Quello che muore è la paura che t’incutono.
Cesare Pavese
NOTE:
1condizionamento classico: è la più semplice ed automatica forma di apprendimento per associazione e fu descritto per la prima volta all’inizio del secolo scorso dal fisiologo russo Pavlov, grazie al suo famoso esperimento sul riflesso di salivazione canina alla vista del cibo (secrezione psichica). Esso si basa sull’associazione di una risposta incondizionata (cioè automatica e riflessa), come la salivazione del cane quando gli si presenta del cibo, ad uno stimolo inizialmente neutro (come il suono di un campanello). Attraverso l’esposizione ripetuta alla presentazione del cibo (stimolo incondizionato) subito dopo il suono del campanello (stimolo condizionato), Pavlov osservò che i cani mostravano la secrezione psichica di saliva non appena udivano lo stimolo (non più neutro) del campanello, a prescindere che successivamente venisse presentato o meno il cibo. Questo importante esperimento ha permesso di includere i processi fisiologici nell’ambito della psicologia, concretizzando l’ambizioso progetto del collega di Pavlov, Sečenov, padre della fisiologia russa e della riflessologia.
2Risonanza Magnetica funzionale (fMRI): è un’altra tecnica di misurazione indiretta dell’attività metabolica del cervello, basata sul fatto che l’ossiemoglobina (emoglobina che trasporta ossigeno) ha proprietà magnetiche differenti rispetto alla deossiemoglobina (emoglobina priva di ossigeno). Sottoponendo temporaneamente le aree cerebrali ad un campo magnetico durante lo svolgimento di un compito specifico, la registrazione del cosiddetto segnale dipendente dal livello di ossigenazione del sangue (Blood Oxygenation Level-Dependent o BOLD) permette di rilevare e mappare le aree attivamente coinvolte nello svolgimento del compito. Infatti, in queste aree (indicate convenzionalmente con il colore viola= molta attivazione rispetto a quelle di colore rosso= poca attivazione), nel giro di pochi secondi, si registrerà un aumento del flusso sanguigno per rispondere alla carenza di ossigeno dovuta all’attività metabolica in atto. Rispetto alla PET, la fMRI offre una migliore risoluzione sia a livello temporale che a livello spaziale e ciò la rende la tecnica di neuroimaging d’elezione per gli studi correlazionali sul cervello.
BIBLIOGRAFIA:
LeDoux J: The Amygdala, Current Biology, 17(20):R868–74, 2007.
Perna G, Caldirola D, et al: La paura, il panico e l’ansia. In: Blundo C, Neuroscienze cliniche del comportamento: basi neurobiologiche e neuropsicologiche, psicopatologia funzionale e neuropsichiatria, ed 3, Milano, 2011, Elsevier.
Picó-Pérez M, Alemany-Navarro M, et al: Common and distinct neural correlates of fear extinction and cognitive reappraisal: A meta-analysis of fMRI studies, Neuroscience and Biobehavioral Reviews, 104: 102–115, 2019.
Purves D, Brannon EM, Cabeza R, et al: Principles of Cognitive Neuroscience, 2008, Sinauer Associates, Inc. (trad. it.: Neuroscienze Cognitive, Bologna, 2009, Zanichelli).
Sacchetti B: Circuiti cerebrali delle emozioni. In Maravita A, Fondamenti anatomofisiologici della attività psichica, Milano, 2018, Poletto Editore.
Watson JB, Rayner R: Conditioned Emotional Reactions, Journal of Experimental Psychology, 3(3): 1–14, 1920.
[…] Per un approfondimento sui correlati neuro-anatomici della paura, leggi anche: La percezione della paura nel cervello. […]
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