Come risponde il cervello al COVID-19?_Parte 3

Nella Parte 1 di questa serie di articoli sulle risposte del cervello al COVID-19 che trovi qui, pubblicata durante i primi mesi della pandemia, mi sono occupata di come viene percepito e giudicato il rischio dal cervello e di quali sono i fattori che intervengono sulla scelta del comportamento da adottare in diverse circostanze, compresa la pandemia da COVID-19.

Successivamente, nella Parte 2 che trovi qui, ho approfondito quali sono i pattern psicofisiologici che si attivano in risposta alla paura una volta che una situazione è stata giudicata pericolosa e come questi possono impattare sulla scelta del comportamento da attuare.

Oggi, dopo quasi due anni di convivenza con il virus SARS-CoV-2 e tantissimi studi e articoli che hanno trattato l’argomento, torno anch’io ad occuparmi degli effetti che esso ha avuto sul cervello. In particolare, tratterò di quali sono state le risposte del nostro cervello durante i lunghi periodi di lockdown che tutti noi ci siamo trovati a dover affrontare a causa delle restrizioni per ridurre la diffusione del virus.

Prima dell’avvento dei vaccini contro il COVID-19, il distanziamento sociale, le restrizioni rispetto agli spostamenti, al numero di persone o all’orario degli incontri e, in casi estremi, il ricorso al lockdown con la chiusura di uffici, scuole, negozi e luoghi pubblici non essenziali, erano le uniche armi a disposizione per contrastare la diffusione del virus. Tuttavia, questi provvedimenti hanno portato a degli scenari nei quali difficilmente avremmo immaginato di poterci trovare e ci hanno richiesto, dall’oggi al domani, uno sforzo non indifferente per “sopravvivere” all’isolamento.

Come scrisse nel IV secolo A.C. il filosofo greco Aristotele, infatti, “l’uomo è un animale sociale” in quanto tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società. La deprivazione di contatti umani e fisici e il trasferimento di tutte le attività – motorie, scolastiche, lavorative, sociali etc. – online e nelle mura domestiche, quindi, non solo hanno scombussolato le nostre routine, ma hanno avuto ripercussioni importanti sulle nostre abitudini alimentari, sull’attività fisica, sull’umore, sul sonno e sulle capacità cognitive, causando un generale aumento dei livelli di stress per prolungati periodi di tempo.


Le deprivazioni dovute al lockdown

L’Italia è stato uno dei primissimi Paesi, colpiti considerevolmente dal COVID-19, a fare ricorso alla misura estrema del lockdown per ridurre i contagi. Diversi studi sono stati fatti per approfondire quali effetti queste rigide misure restrittive abbiano avuto sulla popolazione nelle diverse fasce d’età.

Probabilmente la categoria che ha più risentito degli effetti delle chiusure totali sono stati i più piccoli, costretti a casa e deprivati del contatto sociale, fondamentale per il loro apprendimento e sviluppo cognitivo. Le ricadute dell’impossibilità di andare a scuola non sono state solo a livello fisico, con difficoltà nello scaricare le grandi quantità di energia che i bambini hanno per natura, ma anche a livello psicologico e cognitivo.

Il contatto con i coetanei, infatti, non è solo occasione di svago e divertimento per i più piccoli, ma anche una componente fondamentale del loro sviluppo, attraverso la quale imparano a relazionarsi con gli altri, a rispettare i turni, a sviluppare le abilità di comunicazione e anche a tollerare le frustrazioni.

Le principali conseguenze negative del distanziamento sociale e del lockdown riscontrate nei bambini sono state aumento dell’irritabilità, alterazioni del sonno e del comportamento alimentare e disturbi d’ansia.

Affrontare la chiusura forzata e la drastica riduzione del contatto con i pari è stato altrettanto difficoltoso per gli adolescenti, privati del loro gruppo di riferimento in un’età in cui l’accettazione di sé, il processo di individuazione e separazione dal nucleo familiare di appartenenza e la definizione della propria indipendenza passano proprio attraverso il rispecchiamento e l’inclusione nel contesto dei pari.

L’adolescenza, infatti, è la fase in cui le aree cerebrali coinvolte nella percezione sociale e nella cognizione, indispensabili per comprendere gli altri, sono in pieno sviluppo e la maturazione del cosiddetto “cervello sociale” promuove la formazione di una solida identità sociale e la nascita di giovani adulti indipendenti e sani.

Le restrizioni nel loro caso hanno comportato un forte senso di solitudine, noia e frustrazione, con conseguenti disturbi dell’umore, un generale aumento delle condotte autolesive e, in casi estremi, ideazioni suicidarie. Da non sottovalutare sono anche le importanti difficoltà nel contesto scolastico, trasferito online, penalizzato dall’impossibilità di sfruttare il contatto visivo e di interpretare i messaggi non verbali, strumenti indispensabili per generare attenzione condivisa, potenziare l’impegno del gruppo e la creatività.

Queste ultime difficoltà, legate alle interazioni con compagni e colleghi da remoto e all’impossibilità di avere un “contatto diretto”, ma solo dietro uno schermo, sono le principali difficoltà con cui hanno dovuto fare i conti anche studenti universitari e lavoratori.

Inizialmente, ritrovarsi a seguire le lezioni o lavorare da casa è sembrato ai più un grande vantaggio: la gestione del tempo e del carico di studio/lavoro avveniva in completa autonomia, gli impegni sembravano drasticamente ridotti e non doversi recare di persona sul luogo fisico permetteva di risparmiare tantissimo tempo. Nel giro di qualche settimana, tuttavia, sono emerse le prime difficoltà: seguire ore e ore di lezione online si è rivelato più impegnativo del previsto, le giornate lavorative si sono riempite di videochiamate e meeting e riuscire a coordinare il proprio lavoro con quello dei colleghi ha spesso richiesto più tempo dello svolgimento del lavoro stesso.

Al di là delle difficoltà pratiche legate allo studio/lavoro da casa (tra cui problemi di connessione, mancanza di strumenti o spazi adeguati per lavorare etc.), le conseguenze più dannose sono state quelle a lungo termine, dovute alle difficoltà di gestire in autonomia i ritmi di lavoro (con forte aumento dei casi di burnout1), alla sedentarietà “imposta”, alla riduzione dei contatti sociali e, nei casi di impossibilità di lavorare, alle preoccupazioni finanziarie. Tutti questi aspetti hanno portato a forti livelli di stress con ricadute a livello fisico, psichico e cognitivo.

Infine, importanti conseguenze si sono viste nella popolazione anziana, nella quale la riduzione del movimento, l’isolamento e la privazione dei contatti sociali ha portato in molti casi a un decadimento fisico e cognitivo difficilmente arrestabile, accompagnato anche da senso di abbandono, apatia e aumento dei problemi di memoria, sia nei soggetti sani che nei pazienti con demenza.


Le conseguenze sul cervello

In generale, gli effetti negativi del lockdown che sono emersi in tutte le fasce d’età, sono quelli legati, da una parte, all’alterazione delle normali routine quotidiane, alla scarsa attività fisica e ai forti livelli di stress; dall’altra, alla deprivazione dei contatti sociali e all’isolamento. In questo articolo mi concentrerò sulle conseguenze che ha avuto la prima categoria di fenomeni sul cervello.

Diversi studi hanno evidenziato che il lockdown ha comportato alti livelli di stress che hanno influito sull’umore, con disturbi depressivi e ansiosi, e sul comportamento con aumento della rabbia, dell’irritabilità e della frustrazione. A livello cerebrale sono stati osservati diversi effetti collaterali, principalmente imputabili allo stress.

Un interessante studio di Baliyan e colleghi (2021) si è concentrato sui cambiamenti dei livelli di cortisolo, un neurotrasmettitore chiave nell’uomo, che si occupa di modulare la funzione cerebrale e la cognizione. In particolare, il ritmo diurno del cortisolo è in grado di interagire con i fattori di stress ambientale per rispondere in modo adattivo alle situazioni stressanti, favorendo il cosiddetto “coping resiliente”.

I risultati dello studio hanno evidenziato che differenze individuali nei livelli diurni di cortisolo sono in grado di predire le capacità di resilienza di un individuo in risposta ad un evento stressante prolungato, come il lockdown per la pandemia da COVID-19. In sintesi, buone capacità di adattamento dei livelli di cortisolo basale nell’arco della giornata sarebbero predittivi di un’elevata resilienza, con migliori prestazioni cognitive (ad esempio nella memoria di lavoro verbale e visuo-spaziale e nella comprensione empatica degli stati mentali altrui), e permetterebbero di elaborare e utilizzare le circostanze ambientali in modo più efficiente per gestire la situazione stressante; al contrario, una risposta eccessiva o estremamente ridotta nei livelli di cortisolo è risultata associata a sintomi di tipo depressivo e ad alti livelli di ansia e stress percepito durante il confinamento.

In un altro studio Guedj e colleghi (2021) hanno confrontato negli stessi soggetti il metabolismo cerebrale dell’anno precedente con quello dei giorni immediatamente successivi alla fine del lockdown ed hanno riscontrato una riduzione dell’attività metabolica nella corteccia sensoriale e motoria, maggiore nei soggetti più giovani (al di sotto dei 45 anni). Gli autori hanno correlato questi risultati con la ridotta attività fisica che è stata svolta durante i periodi in lockdown ed hanno sottolineato che, tali effetti, sono pienamente reversibili nelle fasi di riapertura post-lockdown.

Infine, uno studio di Salomon e colleghi (2021) ha evidenziato un aumento volumetrico bilaterale della materia grigia nell’amigdala e nella corteccia temporale anteriore ventrale in soggetti sani sottoposti a risonanza magnetica prima e dopo il lockdown. L’interpretazione degli autori è che tali cambiamenti nelle regioni cerebrali comunemente associate a stress e ansia siano dovuti all’intensa esperienza del lockdown. Ciò è stato confermato dal fatto che tali cambiamenti sono risultati transitori e mostravano un effetto tempo-dipendente rispetto al tempo trascorso dalla fine del lockdown.

Per un approfondimento sul ruolo dell’amigdala all’interno del funzionamento cerebrale, leggi anche la neuropsillola: il “centro emotivo” del cervello.

In conclusione, il lockdown si è certamente rivelato una misura indispensabile per tentare di arginare gli effetti devastanti della pandemia da COVID-19. Tuttavia, gli studi dimostrano che non sono mancate la conseguenze negative sulla salute mentale e fisica della popolazione, ma, fortunatamente, tali conseguenze sembrano essere quasi completamente reversibili una volta tornati alla normalità.

Nel prossimo articolo su “Come risponde il cervello al COVID-19?” approfondirò le conseguenze dell’isolamento e gli effetti che l’impossibilità di avere contatti umani hanno innescato nel nostro cervello.


NOTE:

1burnout: il termine che deriva dall’inglese “to burn out”, letteralmente significa “bruciarsi, esaurirsi” ed indica una condizione di stress intensa e prolungata, solitamente associata al contesto lavorativo, in cui la persona vive una condizione di esaurimento sul piano emotivo, fisico e mentale tale da non riuscire a gestire con successo la propria quotidianità, con ricadute anche a livello personale e sociale.


BIBLIOGRAFIA:

Baliyan S, Cimadevilla JM, de Vidania S, Pulopulos MM, Sandi C, Venero C: Differential Susceptibility to the Impact of the COVID-19 Pandemic on Working Memory, Empathy, and Perceived Stress: The Role of Cortisol and Resilience. Brain Sci. 2021;11(3):348.

Brooks SK, Webster RK, Smith LE, et al: The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence. Lancet. 2020;395(10227):912-920.

Gastaldi F: Covid-19: quali sono gli effetti collaterali sul cervello di bambini e ragazzi? (2021).

Guedj E, Campion JY, Horowitz T, Barthelemy F, Cammilleri S, Ceccaldi M: The impact of COVID-19 lockdown on brain metabolism [published online ahead of print, 2021 Oct 12]. Hum Brain Mapp. 2021;10.1002/hbm.25673.

Salomon T, Cohen A, Barazany D, et al: Brain volumetric changes in the general population following the COVID-19 outbreak and lockdown. Neuroimage. 2021;239:118311.

Zhu S, Wu Y, Zhu CY, et al: The immediate mental health impacts of the COVID-19 pandemic among people with or without quarantine managements. Brain Behav Immun. 2020;87:56-58.

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